Orchestra dell'Università di Pisa
cherubino

Brahms

Programma
Johannes Brahms, Sinfonia n. 1 in do minore Op. 68
I. Un poco sostenuto – Allegro – Meno Allegro
II. Andante sostenuto
III. Un poco Allegretto e grazioso
IV. Adagio – Più Andante – Allegro, ma con brio – Più Allegro

Fuori programma
Johannes Brahms, Danza ungherese n. 5

 

Introduzione al concerto
(a cura di M. A. Galanti)
Quando finisce di comporre la prima sinfonia, nel 1876, Brahms ha più di quarant’anni ed è già molto famoso, ma il travaglio creativo che la precede, tra interruzioni e riprese, rimaneggiamenti e ritocchi, inizia almeno un ventennio prima. La spiegazione di un’elaborazione così lunga nel tempo, che pare connotata da inquietudine e incertezze, risiede, come lo stesso compositore aveva avuto modo di dichiarare, nell’ombra lunga e incombente di chi sembrava avesse raggiunto il massimo in tale forma compositiva, e cioè Beethoven. Certamente, in questa prima sinfonia, i richiami non mancano, anzi, si tratta di un vero e proprio riallacciarsi e proseguire un percorso. Il legame con le sinfonie di Beethoven, però, non si traduce in una sorta di riproposizione passiva e mimetica dei suoi stilemi, quanto piuttosto esprime il desiderio di riproporre la tradizione come atto quasi paradossale e dunque, in un certo senso, controcorrente, di rivivificazione della stessa. In una lunga e nota intervista rilasciata al giornalista e celebre violinista americano, Arthur Abell, rovesciando una citazione evangelica – “(…) nessuno verserebbe vino nuovo in vecchi otri” – il compositore sostiene di avere fatto, con la sua musica, proprio il contrario; cioè di avere rovesciato vino nuovo in vecchi otri compiendo qualcosa di imperdonabile agli occhi dei moderni Filistei (l’espressione è sempre sua) suoi coevi. Nella stessa intervista il compositore dichiara, per rafforzare tale convinzione, di essere certo che sarebbero dovuti passare almeno cinquanta anni perché la sua musica potesse essere davvero compresa. Per Brahms, del resto, le forme musicali sono definite quasi da archetipi, precisi e immutabili, che vengono declinati in stili variabili con il divenire storico collettivo e individuale, cioè proprio dei singoli compositori. Ed è in questa veste, di musicista che rende omaggio alle tradizioni musicali del passato e le ripropone, con le opportune metamorfosi, per vivificarle, che vogliamo ascoltarlo questa sera.

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